Il dogma dell’inferno perché oggi viene taciuto
Il dogma dell’inferno, oggi viene taciuto, viene messo da parte, anzi molti non sanno nemmeno che esiste un dogrma dell’inferno perché credono che l’inferno stesso non esiste. A tal proposito, voglio riportare alcune esperienze mistiche di Josefa Menendez dove il demonio si accaniva su di lei con violenza, questo perché sapeva bene che le sofferenze di Josefa, portava anime a Cristo. Ma la mistica non tanto i maltrattamenti la turbarono ma il trovarsi nell’inferno nel vero senso della parola. Ebbe infatti un’esperienza terrificante, trovandosi con l’anima nel luogo della perdizione. Sperimenta il dolore dei dolori, quello di non poter più amare.
Josefa conosce, per la prima volta, questa misteriosa discesa nell’inferno. Voci infernali la chiamano a più riprese; era terrificata e impressionata.
Ode grida di disperazione come queste: «Sono per sempre là dove non si può più amare… Quanto breve è stato il piacere! E la disgrazia è eterna… Che mi resta?… Odiare con odio infernale e questo per sempre!». «Oh, scrive, sapere la perdita di un’anima, e non poter ormai far nulla per lei! Sapere che per tutta l’eternità un’anima maledirà Gesù e che non c’è più rimedio!
La domenica 12 marzo scrive alla sua Superiora:Dalla notte del primo venerdì, il demonio, dopo avermi battuta, è scomparso e mi ha lasciata libera. Non posso esprimere ciò che ho provato nell’anima mia quando mi sono accorta di essere viva e di poter ancora amare Dio! Per evitare quest’inferno, quantunque abbia una gran paura di soffrire, non so che cosa sarei pronta a sopportare! Vedo chiaramente che tutti i patimenti terreni sono un nulla a paragone. Da allora Josefa sperimenta spesso questo strazio misterioso in quei lunghi soggiorni nel tenebroso «al di là». Le discese vengono ogni volta preannunziate dai rumori di catene e dalle grida lontane che si avvicinano, la circondano, l’assediano.
Essa tenta di fuggire, di distrarsi, di lavorare per sottrarsi a questa furia diabolica che finisce però con abbatterla. Ha appena il tempo di rifugiarsi nella sua cella, che perde coscienza delle cose circostanti. Dapprima, si trova gettata in quello che chiama «luogo buio» di fronte al demonio, che trionfa su di lei e sembra credere di averla in suo potere per sempre. Egli ordina imperiosamente che sia gettata al suo posto e Josefa, legata strettamente, cade nel caos di fuoco e di dolore, di odio e di disperazione. Riferisce tutto questo semplicemente e oggettivamente, come ha visto, inteso, sperimentato. All’esterno solo un leggero sussulto dava indizio di tali misteriose discese. Nell’istante stesso il corpo di Josefa diventava del tutto floscio, senza consistenza, come quello di chi, da pochi momenti, non ha più vita. Il capo, le membra, non si sostengono più, mentre il cuore batte normalmente: essa vive come senza vivere! Questo stato si prolunga più o meno, secondo la volontà di Dio che l’abbandona così all’inferno, e tuttavia la custodisce nella sua sicurissima mano.
Nel momento da Lui voluto un altro impercettibile sussulto, e il corpo accasciato riprende vita. Ma non è ancora liberata dalla potenza del demonio in quel luogo buio dove la ricolma di minacce. Quando infine la rilascia ed essa a poco a poco riprende contatto con i luoghi e le persone che la circondano: «Dove sono… e voi chi siete? vivo ancora?», chiede. I suoi poveri occhi cercano di ritrovarsi in un ambiente che le sembra così lontano nel passato. Talvolta grosse lacrime scorrono dai suoi occhi silenziosamente, mentre il volto porta l’impronta di un dolore che non si può esprimere. Riconquista alla fine il senso pieno dell’attuale realtà e non è possibile esprimere l’emozione intensa da cui viene pervasa quando, ad un tratto, comprende di poter ancora amare!
Questo testo sopra citato è il racconto della grande mistica Josefa Menendez, un racconto davvero forte che ci fa comprendere quanto sia reale il male e quanto sia necessario oggi mettere di nuovo in evidenza il Dogma dell’Inferno che è una cruda realtà e non fantasia.
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