Contemplazione e servizio è la strada che porta al cielo
«Contemplazione e servizio»: questa è «la strada» da scegliere nella vita per non cadere nella tentazione dei «cultori di quella religione che è l’indaffaratismo», i quali «fanno anche del bene, ma non del bene cristiano: un bene umano». È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dall’episodio evangelico di Marta e Maria proposto dalla liturgia durante la messa celebrata a Santa Marta nella mattina di martedì 9 ottobre.
Riferendosi al passo di Luca (10, 38-42) il Pontefice ha subito osservato che «Gesù approfitta del modo di agire di queste due sorelle per insegnarci come deve andare avanti la vita del cristiano». Nella casa in cui è ospitato, infatti, «c’era Maria, che ascoltava il Signore», mentre la sorella Marta «era occupata nei servizi, andava da una parte all’altra, “distolta”, come dice il Vangelo». Lei stessa, ha notato Francesco, «si lamentò» con Gesù dicendogli: «No, ma, Signore, ma questa non fa nulla, questa guarda te, ascolta te ma ci vuole il lavoro…». E lo fece «con coraggio». Marta, del resto, «era una di quelle donne forti». E non a caso, secondo quanto riferisce Luca, «si fece avanti e disse…».
È «una di quelle donne che sanno farsi avanti» ha rimarcato il Papa, citando anche un altro brano evangelico e ricordando che «lei stessa è andata da Gesù, quando ha sentito che stava arrivando, dopo la morte di Lazzaro, e lo ha rimproverato: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma io so che quello che tu chiederai al Padre, lo farà”». Anche in quella circostanza «si fece avanti», dimostrando di essere una di quelle «donne che hanno il coraggio di andare sempre avanti». E tuttavia «era troppo indaffarata: i lavori la prendevano; era sempre, sempre indaffarata». E «non aveva tempo per guardare Gesù, per contemplare Gesù».
Evidenziando la differenza tra Marta e Maria, il Signore «ci vuole insegnare come deve essere la vita dei cristiani». Infatti, ha fatto notare il Pontefice, «ci sono tanti cristiani che vanno, sì, la domenica a messa, ma poi sono indaffarati, sempre», al punto che «non hanno tempo né per i figli, neppure per giocare con loro; è brutto, questo: “Ho tanto da fare, sono indaffarato”». Alla fine queste persone «diventano cultori di quella religione che è l’“indaffaratismo”: sono del gruppo degli “indaffaratisti”, che sempre stanno facendo». A loro si potrebbe dire: «Fermati, guarda il Signore, prendi il Vangelo, ascolta la parola del Signore, apri il tuo cuore». Ma essi preferiscono «sempre il linguaggio del fare, sempre». E anche se «fanno del bene», non si tratta di «bene cristiano» ma di «bene umano».
In sostanza, ha affermato il Papa, «a questi manca la contemplazione». E a Marta stessa «mancava quello». Era «coraggiosa, sempre andava avanti, portava le cose in mano», ma «le mancava la pace: perdere il tempo guardando il Signore».
Da parte sua Maria non si beava in un «dolce far niente». Ella invece «guardava il Signore perché il Signore toccava il cuore e da lì, dall’ispirazione del Signore, è da dove viene il lavoro che si deve svolgere dopo». A conferma di ciò il Pontefice ha indicato l’esempio delle monache e dei monaci di clausura, che «non stanno tutta la giornata guardando il cielo. Pregano e lavorano» secondo «il motto di san Benedetto: ora et labora, prega e lavora. Le due cose insieme. La contemplazione e l’azione». Da qui la domanda di Francesco «per ognuno di noi: “Io, da quale parte mi schiero? Sono troppo contemplativo… o troppo indaffarato?”».
Per completare la sua meditazione il Papa ha suggerito anche «l’esempio del cristiano Paolo» descritto nella prima lettura, tratta dalla lettera ai Galati (1,13-24). In essa l’apostolo «racconta la sua vita, come perseguitava ferocemente la Chiesa, la devastava». Ma «quando Dio lo toccò, quando Dio lo scelse, ha ricevuto il dono della contemplazione di Gesù».
Il suo atteggiamento è in apparenza «curioso»: egli infatti, ha notato il Pontefice, «non è andato a predicare» immediatamente, ma — come racconta nella lettera — «subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano Apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco». Dunque «se n’è andato a pregare, se n’è andato a contemplare il mistero di Gesù Cristo che gli era stato rivelato». Perché «ogni cosa che faceva Paolo, la faceva con questo spirito di contemplazione, di guardare il Signore. Era il Signore che parlava dal suo cuore, perché Paolo era un innamorato del Signore».
Questa, secondo Francesco, «è la parola-chiave per non sbagliare: innamorati». Così «noi, per sapere da quale parte stiamo, se esageriamo perché andiamo in una contemplazione troppo astratta, anche gnostica, o se siamo troppo indaffarati, dobbiamo farci la domanda: “Sono innamorato del Signore? Sono sicuro, sono sicuro, sicura che lui mi ha scelto, mi ha scelta? O vivo il mio cristianesimo così, facendo delle cose… sì, faccio questo, faccio, faccio…». Ma, ha esortato, «guarda il cuore, contempla!».
Per esemplificare la sua riflessione il Papa ha invitato a pensare «a una donna, sposata; il marito torna dal lavoro, stanco… si vogliono bene». E «lei dice: “Com’è andata?” — “Bene, bene” — “Ma, siediti, accomodati: io continuo”». Questo però, ha affermato Francesco, «non è amore», perché «una donna innamorata, quando torna il marito dal lavoro, lo abbraccia, lo bacia, prende il tempo per stare con lui; anche il marito con la moglie». Questo significa che bisogna «prendere il tempo davanti al Signore, nella contemplazione, e fare di tutto per il Signore al servizio degli altri. Contemplazione e servizio: questa è la strada nostra della vita».
In conclusione il Pontefice ha proposto un esame di coscienza. «Ognuno di noi — ha detto — pensi: quanto tempo al giorno do a contemplare il mistero di Gesù? E poi: come lavoro? Lavoro tanto che sembra un’alienazione, o lavoro coerente alla mia fede, lavoro come un servizio che viene dal Vangelo?
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